“Salutatevi”.

Questo invito, rivolto dall’infermiere del triage al pronto soccorso, ma forse meglio definirlo ordine (il paziente dentro, lei Signora fuori), è impresso nella mia testa.

Salutatevi, che sembra qualcosa tipo <i passeggeri salgano a bordo, il treno è in partenza>…

Partenza verso qualcosa di non prevedibile, dall’esito ignoto e da affrontare da solo, perché tra i tanti problemi c’è anche il covid, che vieta visite e contatti fisici tra pazienti e familiari.

Inizio di un viaggio con una unica certezza: qualcosa dentro di me non funziona più bene e va capito se e cosa fare.

Il se mi preoccupa più del cosa.

Il “se” sottintende che potrebbe non esserci una soluzione positiva, il “cosa fare” per risolvere il problema mi preoccupa meno.

E’ così che una mattina di gennaio (era un martedì) inizio un viaggio non previsto e non voluto.

Il fatto che ne sto scrivendo, a distanza di un mese, significa che ancora sono qua, sempre io, ma diverso.

Quel giorno sono stato catapultato dalla mia vita stra-impegnata, stra-stimolante, in qualche modo stra-ordinaria e straordinaria ad un letto d’ospedale.

E lì è iniziato il viaggio.

In fondo è stato un viaggio veloce e ancora non ho preso del tutto coscienza di quello che poteva succedere.

Quei malesseri che da circa un mese mi infastidivano, in alcuni momenti mi preoccupavano tantissimo, in altri cercavo di sottovalutarli: la paura di sapere di star male è spesso la causa principale di esiti nefasti.

Ma la paura di lasciare troppe cose incompiute, tra i tanti progetti che ho in mente, ma prima ancora la paura di lasciare da soli i miei cari, alcuni ancora non autosufficienti, altri da poco entrati a far parte di un nuovo progetto di vita mi hanno fatto passare momenti di puro panico incontrollabile nei giorni precedenti quel martedì.

Però, le poche conoscenze di medicina e la razionalità che mi caratterizza in molte scelte, insieme alla paura di cui ho appena detto, mi hanno aiutato ad affrontare il problema.

Poco dopo le 9.30 di quel martedì il cardiologo che mi visitava nel suo ambulatorio mi ha guardato serio e mi ha detto che era il caso di ricoverarmi subito.

I sintomi da me descritti, il tracciato dell’elettrocardiogramma e quello che vedeva con l’ecografo gli indicavano un quadro clinico preoccupante.

Ripeto, non sono un medico, ma le sue conclusioni combaciavano con le mie ipotesi: le coronarie facevano i capricci e l’infermiera mi chiese come facevo a saperlo, perché prima di entrare le avevo detto cosa pensavo di avere.

Quanto le coronarie facevano i capricci si è capito il giorno dopo in UTIC (unità di terapia intensiva coronarica), perché alcuni valori dicevano che il cuore era sotto attacco e si è chiarito perfettamente quando, facendo d’urgenza un esame specifico, i medici hanno trovato un’arteria quasi completamente ostruita.

Ecco da cosa dipendevano i sintomi che avevo: il cuore andava in stress perché non era alimentato a sufficienza.

Chissà in quanto tempo avrebbe smesso di funzionare se l’arteria si fosse chiusa del tutto o se avessi fatto uno sforzo che richiedeva maggior afflusso di sangue?

Quasi certamente ora non sarei stato qui a scrivere, i miei progetti sarebbero rimasti incompiuti, i miei cari starebbero vivendo un bruttissimo momento…

In meno di un’ora il cardiologo che navigava con la sonda dentro le mie arterie ha riaperto il passaggio e inserito un tubicino che ne evita la chiusura.

In meno di un’ora sono passato da una fine quasi certa a una nuova vita!

Gli esami dei giorni successivi hanno confermato che l’intervento è riuscito e che i miei parametri vitali sono nuovamente nella norma.

Sentire il cardiologo dire “lei è guarito” è stato emozionante.

Forse anche grazie ad un’età non avanzatissima, il mio fisico sta rispondendo bene e dopo pochi giorni mi hanno dimesso, quindi il viaggio mi ha riportato a casa.

Ora dovrò convivere con un rimorchio di medicine e di controlli analitici, ma molto dipenderà dalla mia costanza nel rispettare le regole di una vita sana.

In questo incide e inciderà anche la gestione dei ritmi di lavoro.

Già da mesi stavo progettando una riorganizzazione delle mie attività e questa disavventura non fa altro che farmi accelerare le scelte che avevo già programmato: meno ore di lavoro, riduzione delle preoccupazioni, maggiori deleghe ai miei collaboratori, taglio dei rami secchi che non apportano linfa propulsiva all’impresa.

E… tanto più spazio per me!

Se fossi morto non avrei fatto le foto che amo fare, non avrei concluso i progetti artistici che ho in testa, non avrei dato ai miei cari quell’affetto che è sempre troppo poco.

Non avrei avviato altre idee che ho in testa per ridurre le inutili e superflue preoccupazioni legate a valori poi non così importanti, come la sistemazione della casa.

Se fossi morto quel “salutatevi” sarebbe rimasto incompiuto, perché il tempo di abbracciarsi è sempre troppo poco, perché ai miei figli avevo detto che andavo a fare dei semplici controlli, ma in tutto questo c’è un aspetto che mi ha sempre fatto pensare positivo da quando sono entrato in ospedale: la fiducia nelle parole del cardiologo e la consapevolezza che se succedeva qualcosa ero nell’unico posto dove potevano intervenire subito per cercare di salvarmi.

Lì dentro non ho mai avuto paura, né mi sono preoccupato per i prelievi, gli esami, l’intervento.

La consapevolezza che tutto serviva a farmi continuare a vivere ha prevalso su qualsiasi timore di provare dolore.

Ho sempre creduto nella prevenzione e, anche se con qualche strappo alla regola, ho imparato a seguire i consigli dei medici fin da prima di scoprire (nel 2005) che avevo il diabete.

Ora, a quel bastardo e infido diabete, si aggiunge un altro problemino, ma imparerò a conviverci.

Finché non ci si passa si sottovaluta l’importanza dei controlli e della lettura dei segnali che il corpo ci manda, ma non auguro a nessuno di sorridere ai propri figli dicendo che si vanno a fare dei semplici controlli, mentre manca anche il respiro, tremano le gambe e si vede solo nero, perché non si sa cosa può succedere prima di arrivare in ospedale.

Ma chiudo con una nota simpatica: ad ulteriore dimostrazione della positività con cui ho affrontato il ricovero ho scattato una marea di foto e una mi ha divertito tantissimo.

L’ho pubblicata sui social facendo pensare che fossi in montagna sulla neve, invece è un semplice lenzuolo bianco colpito dalla luce del sole che entrava dalla finestra.

Chi è arrivato a leggere fino a qui, pensi sempre più alla prevenzione: dalle analisi del sangue si possono rilevare molti eventuali segnali d’allarme (glicemia, trigliceridi, colesterolo, ecc…).

In un attimo tutto quello che siamo, che amiamo e che abbiamo può sparire per sempre.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenti sul post